Il petrolio russo e “l’inganno digitale”

Se c’è una cosa che abbiamo imparato dagli ultimi turbolenti anni che hanno caratterizzato lo scenario geopolitico mondiale è sicuramente quella di non accontentarci delle apparenze, di non dare per scontato che mossa una pedina sulla scacchiera ne seguirà, con buona approssimazione, l’effetto voluto.  Molto spesso non è così.  Nonostante il fatto che le più moderne applicazioni tecnologiche consentano di conoscere con estrema precisione ciò che accade dall’altra parte del mondo, le stesse applicazioni tecnologiche, se adeguatamente utilizzate, possono favorire il verificarsi di fenomeni che sfuggono ai normali monitoraggi internazionali e che finiscono, in alcuni casi, per vanificare totalmente gli effetti di scelte politiche internazionali che dovrebbero mettere in crisi le economie dei paesi colpiti.

Di che cosa stiamo parlando? Stiamo parlando della Russia e di ciò che è seguito alla invasione dell’Ucraina avviata a febbraio 2022.  Come noto, i paesi occidentali a seguito dell’evento bellico hanno emanato una serie di sanzioni economiche che avevano la chiara finalità di mettere in crisi l’economia russa. Ebbene, a tre anni di distanza dall’inizio di un conflitto che non vede per ora alcuna concreta prospettiva di pace, l’effetto cercato dai paesi occidentali è stato ottenuto in maniera molto parziale e del tutto inferiore alle aspettative. Uno dei provvedimenti-cardine delle sanzioni emanate era finalizzato a colpire l’esportazione di petrolio russo che, secondo recenti stime, genera al bilancio russo un’entrata media di 150 miliardi di dollari all’anno. Si può tranquillamente affermare che in questi tre anni di “economia bellica” la Russia non abbia minimamente risentito del divieto di export del proprio petrolio aggirando la sanzione con un sistematico ed “intelligente” meccanismo che è stato rivelato di recente dalla stampa specializzata.

Che cosa è avvenuto in questi ultimi tre anni e sta tuttora accadendo?  In buona sostanza nel Golfo dell’Oman, nei pressi del porto di Sohar (noto per essere un tradizionale scalo di riferimento dei traffici clandestini), viene posta in essere una sofisticata operazione di “spoofing” grazie alla quale vengono rese invisibili le rotte di navi petroliere di paesi compiacenti (quali Liberia, Palau o Gabon) e ciò avviene o tramite disattivazione dei loro sistemi di identificazione automatica (Ais) o trasmettendo dati falsificati che rendono difficile tracciare spostamenti e identificare i carichi illegali. Si tratta, con tutta evidenza, di navi costituenti una “shadow fleet” al servizio della Russia e che serve proprio per consentire al paese di continuare ad esportare petrolio.  Una volta che la petroliera “compiacente” è resa invisibile ecco che può scattare l’operazione di ship-to-ship (Sts) transfer, in cui il petrolio viene trasferito in mare aperto dalla nave russa all’altra, perdendo qualunque riferimento all’origine del carico e ingannando di conseguenza le autorità doganali e le compagnie di assicurazione.

A quanto consta, quella dell’occultamento digitale costituisce una pratica oramai consolidata e che, oltreché ad essere completamente illecita, aumenta il rischio, a causa della vetustà e della scarsa manutenzione del naviglio impiegato, di incidenti marittimi, collisioni o sversamenti di petrolio, con conseguenti danni per l’ambiente.

È possibile porre rimedio a questa situazione? L’Organizzazione Marittima Internazionale (Imo) e l’Unione Europea hanno posto in essere una serie di azioni che dovrebbero servire quanto meno ad arginare il fenomeno sia tramite l’adozione di tecnologie sempre più avanzate di monitoraggio del traffico marittimo, sia intensificando l’attività di controllo in zone sospette come il Golfo dell’Oman. Staremo a vedere, anche perché, al di là della contingenza attuale legata all’effettiva applicazione del regime sanzionatorio volto a colpire l’economia russa, si tratta in ogni caso di una sfida strategica per l’intero comparto marittimo a tutela della trasparenza e della legittimità del commercio marittimo internazionale. (m.z.)

 

Foto di copertina: Hezago/Pixabay