Primi “vagiti” di Porti d’Italia SpA: ed è subito polemica

Dopo mesi di annunci, ecco che la stampa specializzata pubblica il testo, redatto dalla struttura ministeriale guidata dal viceministro alle infrastrutture e trasporti Edoardo Rixi (con un ruolo rilevante, così si apprende, della dottoressa Elena Gariglio, capo dell’Ufficio Legislativo del Mit), della riforma del settore portuale fortemente voluta dall’attuale compagine governativa per rispondere ad una evidenziata necessità di coordinamento e di gestione omogenea del sistema portuale italiano.

Subito, ad una prima lettura del testo, emerge una peculiarità di questa riforma che pare andare ben al di là degli intenti dichiarati, riassumendo in capo alla nuova Porti d’Italia Spa (interamente controllata dallo Stato) tutti i principali compiti programmatori ed attuativi delle strategie logistico-portuali e lasciando alle attuali Autorità di Sistema compiti residuali e del tutto marginali.

Non sembri la nostra una posizione intenzionalmente polemica, ma si tratta unicamente di puntuali considerazioni, derivanti dalla lettura del testo e peraltro condivise da numerosi esperti del settore.

Cominciamo dalle funzioni della nuova Spa alla quale è affidato il compito di “progettare e realizzare, sia direttamente che in appalto o concessione…interventi di costruzione di opere infrastrutturali e di manutenzione straordinaria nei porti; stipulare convenzioni con le autorità di sistema portuale; vigilare sull’esecuzione dei lavori; curare le strategie di marketing e di promozione della Rete italiana della portualità”.

Porti d’Italia potrà svolgere anche attività a mercato per effettuare attività di progettazione, nonché “effettuare consulenze, studi, ricerche, servizi anche di ingegneria nel settore delle infrastrutture portuali, anche intermodali”.

Dunque, un insieme di compiti piuttosto vasto e che, di fatto e di diritto, svuotano l’attuale assetto normativo delle Autorità di sistema sia nei compiti, ma anche, come vedremo, nei finanziamenti e nello stesso organico. E che l’intento ministeriale sia proprio questo viene ulteriormente confermato dalla stessa struttura di vertice della società.

Il Consiglio di amministrazione è composto infatti da cinque membri: due designati dal Ministero dell’economia e delle finanze; due dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e uno designato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.

Il presidente è nominato tra i membri designati dal Mef e l’amministratore delegato tra i membri designati dal Mit. Un vertice tutto ministeriale, dove le istanze dei territori non trovano alcuna rappresentanza né a livello di Autorità di sistema, né a livello regionale. Su quest’ultimo punto corre l’obbligo di rilevare, come già fatto da altri autorevoli commentatori, che il tema dei porti, ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, costituisce materia di “competenza concorrente” tra Stato e Regioni e che, dunque, una simile impostazione totalmente statalista potrebbe dar luogo ad un possibile contenzioso proprio sulla legittimità costituzionale della riforma.

Quanto ai finanziamenti che andranno ad alimentare la Spa si prevede l’istituzione di un Fondo per “le infrastrutture strategiche di trasporto marittimo” con una dotazione iniziale di 500 milioni di euro ed alimentato in prima battuta da una devoluzione sugli avanzi di amministrazione disponibili delle Adsp e, successivamente, sia da quote relative alla componente investimenti dei canoni di concessione delle aree demaniali, sia da una percentuale, compresa tra il 15 ed il 25 % del gettito complessivo riscosso delle tasse di ancoraggio, delle tasse portuali sulle merci sbarcate ed imbarcate e delle tasse per il rilascio delle autorizzazioni a svolgere operazioni portuali.

Come a dire che Porti d’Italia SpA per esistere ed operare si avvarrà di circa il 50 % delle entrate correnti delle Autorità di sistema portuale. Ancora. In materia di personale è previsto che la società si doti di 150 dipendenti, di cui il 25 % provenienti dalle Adsp (i cui organici, notoriamente, sono piuttosto in sofferenza!). Sempre nella medesima filosofia “centralista” si collocano altre novità del disegno di riforma: la previsione che nel Comitato di gestione venga aggiunto un “componente designato dal Mit”; l’indicazione che il segretario generale sia nominato dal Comitato di gestione, su proposta del presidente dell’Adsp, ma “previo parere del Mit”; l’avvio delle procedure di evidenza pubblica per il rilascio di concessioni di durata superiore a venti anni viene “subordinato al parere vincolante del Mit”; ancora “al verificarsi, per la seconda volta nell’arco di un triennio, di un risultato di competenza dell’esercizio negativo…sono disposti la soppressione dell’Autorità di sistema portuale e il trasferimento delle relative funzioni ad altra Autorità di sistema portuale”.

Quasi annullato ogni compito della Conferenza nazionale di coordinamento delle Autorità di sistema portuale che nel nuovo assetto dovrà essere unicamente “sentita” prima che il Mit, di concerto col Mef, individui con proprio decreto le “infrastrutture strategiche di trasporto marittimo di interesse generale e di rilevanza internazionale da realizzare in via prioritaria”. La realizzazione di queste opere viene poi affidata alla Porti d’Italia S.p.A. con lo strumento dell’Accordo di programma di durata quinquennale stipulato dal Mit con la stessa società.   E le Regioni? Non pervenute, o quasi, atteso che l’unico ruolo che si rinviene nell’articolato disegno di riforma è quello di dare “l’intesa” in sede di Conferenza unificata al richiamato decreto del Mit che individua le infrastrutture strategiche.

In definitiva, una riforma decisamente rilevante rispetto all’attuale assetto istituzionale con una connotazione fortemente centralista e che, a detta di un esperto della materia come Paolo Costa, lascia le Autorità portuali “ridotte a gusci vuoti, confinati a gestioni ordinarie senza strategia, risorse o autonomia decisionale”. Consola la considerazione che siamo solo ai primi passi di questa riforma che, peraltro, non ha ancora ricevuto la “bollinatura” della Ragioneria Generale dello Stato che, per il suo ruolo, avrebbe avanzato qualche perplessità in ordine alla copertura finanziaria del disegno di legge di riforma.

Le ultime dichiarazioni del viceministro Rixi confermano l’obiettivo, superato lo scoglio della Ragioneria, di portare la riforma portuale in Consiglio dei ministri prima di Natale. Staremo a vedere se questo impegno verrà mantenuto, come staremo a vedere se il dibattito parlamentare, come  preannunciato dallo stesso Rixi, darà la possibilità di introdurre quei correttivi e quelle modifiche necessarie a rendere la riforma coerente con l’attuale assetto costituzionale e realmente rispondente a quelle condivisibili finalità di coordinamento e di uniformità, originariamente dichiarate, ma che paiono scomparire a fronte della prevista istituzione di una nuova società, totalmente ministeriale e sganciata non solo dalle istanze territoriali, ma anche da quelle espresse dal cluster logistico-portuale. (m.z.)