25 giugno, The Day of the Seafarer

Per un giorno, per sole 24 ore, nel nostro mondo si renderà omaggio alla gente di mare, ai suoi sacrifici, alle sue sofferenze. Se la vita degli equipaggi in mare è dura, lo è diventata ancora di più in questi anni di pandemia. Navi intrappolate in porti congestionati o costrette alla quarantena o a restrizioni arbitrarie, tenute alla larga. Equipaggi a cui sono mancati cibo e acqua, cure per gli infetti e medici, con attese per mesi a bordo senza salario, protratte ben oltre i termini di scadenza degli ingaggi, in molti casi per circa un anno, altri meno fortunati fino a quasi due anni, prima di poter sbarcare e rientrare a casa, a migliaia di chilometri di distanza.
Invece di unirci al coro ipocrita di coloro che per un giorno li chiameranno “eroi”, vorremmo dedicare due parole al problema del lavoro nella supply chain globale e anche a quello in casa nostra. Qualche mese fa è uscito il Rapporto intermedio della “Commissione Parlamentare d‘Inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati”. Il settore della logistica è quello messo peggio, dove l’intermediazione illecita di mano d’opera dilaga anche in imprese non marginali,  anche in grandi gruppi multinazionali dal nome prestigioso, posti sotto amministrazione giudiziaria. Ma non solo. Come dice testualmente il Rapporto: l’intermediazione illecita di manodopera si registra in ogni campo lavorativo: edilizia, sanità, assistenza, case di cura, logistica, call-center, ristorazione, servizi a domicilio, pesca, cantieristica navale.
Negli stessi giorni l’INAIL pubblicava i dati sui morti sul lavoro: tre al giorno, 47% in più negli ultimi due anni. Questi i tristi risultati di aver deregolamentato il lavoro, di aver depenalizzato gli abusi, di aver reso inefficaci i controlli. E pensare che molti ambienti del nostro settore non vedono l’ora di fare lo stesso nei porti! (V. qui l’intervista a Franco Mariani).
In realtà il problema non è l’illegalità.
Oggi per il lavoro non c’è più riconoscimento sociale. Flessibilità esasperata, moltiplicazione di rapporti occasionali di brevissima durata, gig economy, hanno fatto perdere alla gente la voglia di lavorare. E nelle professioni cognitive l’intensificazione dei ritmi fa scrivere al “Financial Times” di qualche settimana fa “lavorare duro non ci rende più ricchi, ci danneggia solo la salute”.
Ormai si sprecano gli articoli, le testimonianze, i commenti su quella che negli Stati Uniti viene chiamata The Great Resignation, milioni di persone che si licenziano perché sono stufi di lavorare tutto il giorno e di restare dei working poor.
Da anni a livello generale, ben prima della pandemia, è sempre più difficile trovare autisti, oggi più che mai perché le condizioni di lavoro diventano sempre più difficili. Con la congestione che dilaga dal marittimo al terrestre, l’una causa dell’altra, le attese sono più lunghe, la giornata di lavoro più pesante, e per gli autonomi vuol dire anche una secca perdita di reddito. Invece di costruire aree attrezzate di sosta sulle autostrade, dove garantire sicurezza dai furti e condizioni di riposo confortevoli, si pensa a palliativi, inseguendo un impossibile “cambio modale”.
In Corea del Sud è scoppiato uno dei più massicci movimenti di sciopero degli autisti che mai si è visto, e sta creando seri problemi, tra altre cose, alla produzione mondiale di chip. Il motivo è il riconoscimento di un salario minimo di base. In un momento in cui questi lavoratori sono essenziali invece di trattarli meglio, si toglie a loro anche quel poco che hanno. E il governo sta a guardare.
In Germania, dove i rapporti sindacali sono regolati e collaborativi, per la prima volta dopo 44 (!) anni si è arrivati a una contrapposizione dura nei porti durante la tornata contrattuale. Il sindacato Ver.di chiede 1,20 euro di aumento all’ora e compensazione per l’inflazione (che a metà giugno nel paese ha toccato il 6,9%).
Da qualche mese la potente confederazione sindacale tedesca, la DGB, è guidata da una donna, la prima volta nella storia. Si chiama Yasmin Fahimi, già deputata SPD al Bundestag. Appena eletta ha detto che a lei la sbandierata transizione energetica non piace se questo significa rinunciare a industrie energivore come acciaio, alluminio ecc.. “Vogliamo diventare da paese esportatore a paese importatore e perdere posti di lavoro?”
Il segretario dell’IG Metall ha già detto che vuole un 7% di aumento…
Se la pandemia ha creato inenarrabili disagi ai marittimi, la guerra in Ucraina sta creando il caos in uno dei più grandi mercati di reclutamento di gente di mare( V. la intervista a Gian Enzo Duci), l’inasprimento del conflitto non farà che peggiorare la situazione. Dopo la crisi del 1929 un grande economista, John Maynard Keynes, formulò una serie di consigli per il rilancio dell’economia, che da allora hanno preso il nome di “misure keynesiane” e per lungo tempo sono state la Bibbia delle politiche monetarie e fiscali dei governi occidentali. La gestione della massa monetaria da parte delle banche centrali è diventata uno strumento-chiave del governo dell’economia. La manovra sui tassi d’interesse tiene il mondo col fiato sospeso. Ma è ancora efficace? Può ancora domare l’inflazione, come promette la signora Lagarde? E della famosa spirale prezzi-salari cos’è rimasto? Vediamo schizzare in alto i prezzi ma i salari restare fermi.
Non sarà il caso di cambiare i nostri parametri mentali? (V. il nostro articolo sull’inflazione).
Oggi in Italia un nuovo Keynes senza nome ha elaborato un’originale ricetta per ridare slancio al Paese: il cosiddetto “modello Genova”. Soldi pubblici, distribuiti a pioggia, spesi senza nessun controllo, gestiti da lobbies private. E’ la totale rinuncia del pubblico a esercitare il proprio ruolo di governo. Dicono che in questo modo le opere si fanno in fretta e non con i tempi biblici della burocrazia. Trieste invece ha scelto una via completamente opposta, forte governo pubblico del territorio portuale e retroportuale. Con quali risultati? Un esempio è l’insediamento della fabbrica di British-American Tobacco: firmato il contratto a primavera 2021, a dicembre 2021 è iniziato il cantiere, a fine luglio 2022 è prevista la consegna e l’inizio della produzione è previsto a settembre/ottobre 2022. Diciotto mesi, un record.
Malgrado molti fattori convergano per allontanare i giovani dalle professioni marittime, pare che non sia passata la voglia di andare per mare. Ma la questione è complessa e l’intervista con il Direttore Generale dell’Accademia Nautica dell’Adriatico serve a sfatare alcuni luoghi comuni.
s.b.
(foto do Capt-M)