Africa, ultima frontiera – quarta parte

I primi tre capitoli sull’ Africa sono stati pubblicati nei numeri 01/23 e 03/23 e 7/23 della nostra Newsletter. Con questa 4 parte termina il lavoro originale, complesso ed articolato, nato come idea a dicembre 2019 quando chi scrive, che  intendeva fare una semplice proiezione dello scenario dello shipping al 2050, si è convinto della centralità dell’Africa nella soluzione dei principali ed incombenti problemi globali che andavano ben oltre l’analisi del settore marittimo. Il precipitare degli eventi successivi, a partire dal gennaio 2020, ha dilazionato la stesura del lavoro mantenendo però invariata l’intuizione  la cui chiave stava nella possibile soluzione del problema demografico dell’Africa subsahariana e soprattutto sulle modalità e la tempistica di tale ipotetica soluzione.

Le letture fatte successivamente hanno consolidato questa convinzione, anche perchè ancora adesso, a fine 2023, tutto sembra concentrato sulla creazione di un mercato africano di consumo e di una condizione di vivibilità meno sbilanciata rispetto alle “sirene “  dei paesi europei e dell’occidente, ma soprattutto del suo welfare che è il primario obiettivo delle ondate migratorie incontrollate in essere e, purtroppo, anche in crescente divenire.

Macroscenario shipping -2050

Quanto segue costituisce  un esercizio meramente accademico o, meglio, indicativo, in quanto le variabili geopolitiche economiche e sociali in campo sono talmente estese da permettere qualsiasi ipotesi dalle più positive a quelle catastrofiche.

Seguendo il detto latino “in media veritas” ci accingiamo quindi a formulare la nostra ipotesi, anche perchè non temiamo di essere smentiti nel 2050 per motivi “anagrafici” di chi scrive.

Assumendo che:

  • Gli Stati Uniti risolvano il loro conflitto e dramma interno di modello identitario di riferimento, ora tristemente smarrito, e rimangano ancora egemonici anche ideologicamente, pur accettando certi compromessi globali con rapporti di forza diversi;
  • La Cina ridimensioni (obtorto collo) le sue ambizioni imperiali assolute e miri a obiettivi più equilibrati e, soprattutto, sostenibili, pur collocandosi come superpotenza globale;
  • La Russia ritrovi il suo giusto collocamento nello scacchiere complessivo;
  • L’India si unisca a questo “club di vertice” seguendo le tracce della Cina, pur con una impostazione ideologica diversa e forse alternativa a quel modello (anche nel contesto del BRICS la cui importanza potenziale ma anche oggettiva sta crescendo velocemente e forse anche troppo, considerato che gli ultimi eventi in Israele gettano un’ombra funerea sull’evoluzione di tale progetto, perlomeno come sembrava recentemente impostato nelle sue estensioni di membership)
  • L’Europa (o meglio, l’Unione Europea) trovi finalmente una sua identità o, perlomeno, un indirizzo pur nell’orbita del c.d. “mondo occidentale” (leggi USA)

Rimane l’Africa (anch’essa candidata BRICS con l’Unione Africana) che in questo contesto è la chiave di come sarà il mondo fra 30 anni, verso uno sviluppo maggiormente equilibrato e più rispettoso del suo prezioso pianeta, o verso un secondo Medio Evo dai destini incerti e inquietanti.

Come già detto nei precedenti capitoli il problema dei problemi che condiziona  tutti gli altri è la soluzione del problema demografico dell’ area subsahariana, dove nella nostra ipotesi di sviluppo abbiamo prospettato la creazione immediata di un sistema di welfare e di una progressiva implementazione di un  nuovo mercato di consumo, che lasci respiro alla macchina dell’economia mondiale senza ulteriormente drogare i due mercati attuali dell’Europa e del Nord America, con eccessi di consumismo già ampiamente in essere.

Il tutto a costo nostro, ma l’alternativa non c’è,  pena  la fine della nostra civiltà occidentale e in particolare della sua culla, ovvero l’Europa.

Questo presupposto è indispensabile e addirittura probabilmente non sufficiente per centrare almeno in parte gli obiettivi ambientali fissati per il 2050.

Il PIL mondiale passerà comunque da 90 a 170/180 mila miliardi di USD. Già qui si intuisce che almeno il target ambientale  risulta compromesso. La popolazione sfiorerà (purtroppo) i 10 miliardi, pur con un trend di crescita in rapida contrazione (e con un trend di aspettativa di vita in rapido aumento però) dopo la metà del secolo, ma non sufficientemente in tempo.

Qui di seguito  l’ultimo forecast del FMI Fondo Monetario Internazionale di ottobre sulle proiezioni del PIL:

Se la distribuzione del PIL manterrà l’attuale conformazione sia territoriale che soprattutto pro-capite le prospettive sono davvero preoccupanti.

Come già menzionato, le aspettative medie di vita delle aree più svantaggiate (Africa in primis e Sub-Sahara in particolare), cresceranno enormemente per effetto degli auspicabili miglioramenti di condizioni di vita, ma con un aggravio esponenziale del costo di welfare.

Il PIL pro-capite presenterà ancora importanti ed eccessive differenze fra le varie aree del mondo.

In assenza di una redistribuzione del PIL pro-capite le tensioni sociali cresceranno verticalmente e potrebbero portare ad una situazione, come detto, da secondo Medio Evo.

Abbiamo volutamente trascurato la Nigeria, che ha in corso e avrà anch’essa un’ esplosione demografica imponente, ma che teoricamente ha (speriamo) i mezzi propri per gestirla e affacciarsi al mondo come ulteriore partner-player  e risolvere i profondi problemi interni sia di disuguaglianza che di conflitti sociali e religiosi.

Il traffico container mondiale è comunque destinato ad una crescita pur in presenza di importanti flussi di reshoring e ricollocamento degli equilibri geopolitici mondiali.

Il flusso “africano” (dall’Asia e dall’Europa, da dove comunque prevarrà ancora e in maniera importante il carico ro-ro con semirimorchi) nella nostra ipotesi di sviluppo dovrebbe rappresentare di gran lunga il maggiore gradiente di aumento progressivo per alimentare il nuovo mercato di consumo dei paesi attualmente più svantaggiati.

Gli altri flussi manterranno un relativo equilibrio o, comunque, un non eccessivo squilibrio nelle due direzioni mentre quello africano rimarrà sostanzialmente squilibrato per l’assenza iniziale di un  cargo-product di ritorno data la modestia attuale delle strutture produttive dei paesi africani.

Va comunque notato che ci sarà un notevole ricollocamento dei volumi a svantaggio in particolare del Transpacifico e comunque delle linee di “lungo corso” e viceversa  un grande incremento del carico asiatico (Inter-asia e Far East-Mid East Gulf), quindi con un accorciamento delle tratte medie dei servizi marittimi.

Qui di seguito una tabellina su elaborazione dati da statistiche CTS (Container Trades Statistics) basate sul trasportato 2022:

Pertanto, il trasportato in TEU sull’Africa, nell’ipotesi di sviluppo che noi in questa analisi  prevediamo e riteniamo possibile,  passerà almeno ai valori riportati nella tabellina che segue (questo dato non include i porti africani del Mediterraneo prevalentemente di transhipment) con un incremento prudenziale del 28% circa.

Escludendo i porti sudafricani che  registrano una diversa dinamica da sempre e che contano circa 5 milioni di TEU (2022) (che potrebbero arrivare a 7 mln nel 2050) si può quindi concludere che, nell’ ipotesi che  prevediamo, il totale in TEU indirizzato all’ Africa centrale (subsahariana ed equatoriale) si potrebbe collocare in 16,5 mln TEU di cui almeno il 60/65% in importazione.

Chiudiamo qui questo nostro lavoro che ha necessariamente dovuto spaziare anche su aspetti generali non direttamente legati allo shipping, ponendoci come obiettivo un monitoraggio sulle iniziative che saranno prese a breve di propedeutica alle cure impellenti e indispensabili per l’Africa.

Gli indirizzi attuali della politica mondiale sembra stiano seriamente (e finalmente) concentrando la loro attenzione sull’Africa, sulla quale anche l’Italia sta dando finalmente segnali di  interesse diretto e di ruolo di principale nazione mediterranea, come potenziale mercato del futuro e come passo necessario ed urgente per la stabilizzazione complessiva del pianeta.

Rimane purtroppo, ancora non ben recepita, la tempistica impellente e la necessita di creare un mercato di consumo (oltre che di produzione) in queste aree volutamente dimenticate in passato e lasciate preda di voraci appetiti di elementi esterni.

I recentissimi segnali di ulteriore instabilità che provengono sia dalla situazione politica (Niger ed altri paesi) che da quella militare (crisi della Wagner con possibile disimpegno russo anche se non  riteniamo realistico questo fattore e il violento riaccendersi della crisi israelo-palestinese) non fanno deporre in senso positivo e danno ulteriore elementi di incertezza negli sviluppi possibili; tuttavia, ne riparleremo in seguito e in maniera più circostanziata.

Segnaliamo invece nuovamente la crescita di peso specifico dei paesi BRICS (che costituiscono la parte “meridionale” fondamentale dei paesi del G20) e che, in particolare con il recente G20 di New Delhi del 9-10 settembre scorso, hanno accolto nel contesto l’Unione Africana (alla pari quindi dell’Unione Europea), passo fondamentale per far sì che il “problema africano” venga posto al centro dell’attenzione e dei programmi del mondo intero e non solamente di alcune nazioni ex colonialiste, preoccupate principalmente dei loro pregressi interessi.