Africa, ultima frontiera – seconda parte

Non possiamo  ignorare le mire sull’Africa in generale, ma sull’Africa subsahariana in particolare, dei “nuovi” (?) competitors geopolitici mondiali come la Cina, la Russia ma anche la Turchia che si affiancano ai tradizionali storici soggetti interessati all’area, come la Francia e ovviamente, anche se spesso in maniera indiretta o mascherata, gli USA.

Certamente i prodromi confermati dalle più recenti rilevazioni e forecast di sviluppo non sono incoraggianti e ve ne diamo qualche spunto:

a) la questione demografica: la coscienza che il culmine del problema del contenimento della crescita demografica mondiale è concentrata nell’area subsahariana dell’Africa crediamo sia oramai condivisa da tutti. Non altrettanto condivisa la soluzione, non tanto nel modo, quanto nei tempi che non sono sufficientemente compatibili con gli obiettivi di sostenibilità ambientale del pianeta fissati per l’anno 2050.

b) Il problema ambientale: mentre a noi europei che rappresentiamo forse il dieci percento dell’inquinamento mondiale vengono imposte draconiane misure in tempi strettissimi per salvare il pianeta, per la Cina vengono espresse le più profonde preoccupazioni perché il PIL cresce “solo” del 3% nel 2022 (ma torniamo al 4/5 % già nel 2023).

c) La crescita economica: ricordiamo che i due grandi Stati asiatici (Cina e India) per motivi contingenti che eccedono, anche se non esulano, dal tema che trattiamo e che rappresentano oltre un terzo della popolazione mondiale, non potranno avere una crescita inferiore a questi valori, pena il collasso interno almeno per i prossimi due/tre decenni. A questo punto però il PIL mondiale al 2050 almeno raddoppia rispetto all’attuale. Questo significa che gli obiettivi ecologici per l’anno 2050 sono tecnicamente lontanissimi dalla possibilità di raggiungimento.

d) L’aspetto finanziario: continua imperterrito l’inarrestabile meccanismo perverso che concentra sempre più ricchezza al vertice della piramide mondiale, meccanismo che poi paradossalmente rende il denaro sempre meno efficiente nel sistema di vasi comunicanti e flussi convettivi necessari al funzionamento del motore economico mondiale.

Fatte queste premesse, sarà opportuno disegnare a macro-zone le profonde diversità dell’Africa nonché i suoi obiettivi limiti logistici attuali e nel prossimo e medio futuro per proseguire su questo argomento.

L’Africa Mediterranea: (Marocco, Algeria, Libia, Tunisia, Egitto) composta dai paesi che si affacciano al Mediterraneo e che pur avendo storie e situazioni geopolitiche anche profondamente diverse, sono comunque innervati con la cultura,  la storia,  il commercio e l’economia del Mediterraneo e dell’Europa sin dai tempi dell’ Impero Romano, della dominazione veneziana e dell’ Impero ottomano per arrivare al colonialismo francese ed inglese e anche in parte italiano. Uno solo fra  i paesi nord-africani ha contato e continua ad avere un peso specifico maggiore dal punto di vista geopolitico dalla seconda metà del XIX secolo ed è l’Egitto  grazie al Canale di Suez.

L’Africa Subsahariana (Mauritania, Mali, Niger, Sudan, Eritrea, Etiopia, Somalia) situata dalla costa atlantica a quella del Mar Rosso ed in parte Oceano Indiano che a suo tempo ha conosciuto il periodo coloniale e che costituisce la fascia più debole e problematica, sia per motivi ambientali (desertificazione esistente ed incipiente), che di (in)stabilità politica, di povertà e contemporaneo altissimo ed insostenibile tasso di natalità.

La base per la quale questi paesi possano sviluppare una crescita di mercato, che porti anche ad un conseguente ed indispensabile abbattimento del tasso di natalità verso medie sostenibili e più vicini a quelle dei paesi c.d. “sviluppati”, è la creazione preventiva di un sistema di welfare locale che inizi a dare a queste aree un’aspettativa di tenore di vita e di protezioni anche sociali sufficienti all’ abbattimento sia della natalità, sia dell’ impulso crescente e drammaticamente letale di tendere a migrare dove queste garanzie sono uno standard normale per le popolazioni autoctone.

L’Africa Tropicale (tutti gli stati dal Senegal all’ Angola e Mozambico inclusi) che si stende nell’ emisfero Sud e raccoglie un grandissimo numero di stati grandi e piccoli tutti ex coloniali, più o meno in mano del post-colonialismo direttamente o indirettamente, ma sempre pesantemente esercitato. Il potenziale di questa fascia,  dal punto di vista ambientale e di ricchezza dei territori nonché di potenziale autonomia economica, è rilevante.

L’Africa Australe (Namibia, Zimbabwe, Botswana, Zambia e ZAR) con una storia molto diversa imperniata su ZAR (Rep. Sudafricana), piena di contrasti, ma paradossalmente nel bizzarro vortice della storia potrebbe uscirne meglio di altri paesi che sono sotto gioghi ben più imponenti ed immanenti delle potenze vecchie ed emergenti ma anche delle grandi multinazionali .

Vediamo ora le tre mappe riguardanti il GDP pro-capite, il previsto tasso di crescita della popolazione (Birth rate) e l’aspettativa di vita (life expectancy).

 

Fonte Wikipedia

 

Fonte Wikipedia

 

Fonte: World Health Statistics

 

Appare ovvio come questo scenario sia  appetibile per creare un ambiente di mercato del consumo adeguato a supportare dei  flussi di traffico importanti con le tradizionali aree di produzione asiatiche, ma anche con quelle europee o comunque mediterranee, che si potrebbero ulteriormente sviluppare per effetto della crescita economica complessiva, ma soprattutto dei recenti fenomeni di reshoring e friendshoring in incipit.

Dobbiamo peraltro menzionare anche un apparente paradosso che  potrebbe essere generato dalla ricerca di un radicale miglioramento delle condizioni di vita locali mediante l’attuazione di un cosiddetto “Piano Marshall” (vedremo alla presentazione dello stesso quanto il c.d. Piano Mattei si allaccia al tema): da un lato l’aumento del livello di vivibilità in loco, la conseguente creazione di un mercato di consumo e, quindi, una diminuzione della iper-natalità e della pressione demografica tendenziale, per contro  un aumento vertiginoso dell’aspettativa di vita, elemento essenziale per il calcolo del bilancio fra prodotto interno e costo della vita di ogni singola area o paese, e in particolare per il costo del suo welfare. (Cina docet…)[1]

Questo passaggio, ovviamente positivo di per sé  in quanto certifica il miglioramento delle condizioni di vita complessive,  comporta però la necessità di una attenta valutazione dal punto di vista della tenuta sociale nei decenni immediati per non vanificare gli equilibri del mercato interno dei singoli paesi e, quindi, della stabilità del complessivo equilibrio economico e sociale.

Concludiamo qui il secondo capitolo di questo tema. Nel terzo ed ultimo affronteremo quindi la parte principale dello stesso ovvero l’aspetto logistico e l’impatto sul commercio e trasporto mondiale.

 

 

[1] A questo riguardo e per scopo di mero esempio e per validare il criterio citiamo una nazione di medie dimensioni, quale ad esempio la Turchia, che ha avuto un forte incremento demografico nella seconda metà del secolo scorso dove in un ventennio (2001-2021) il miglioramento di stile e livello di vita avvenuto asimmetricamente in un area della stessa  contro il residuale basso livello ancora rimasto in un’altra, ha portato comunque il tasso di natalità medio da 2,38 a 1,70, però con differenze ora abissali fra le due aree ( 1,20 contro 3,81 !!) tanto da cominciare a sfiorare in proiezione un decremento demografico complessivo tendenziale simile a quello dei paesi europei