Africa, ultima frontiera

“Spazio ultima frontiera…” così iniziavano le puntate di “Star trek”, quella che è stata forse la più celebre serie televisiva di science fiction.

Abbiamo mutuato la stessa definizione per riprendere un argomento fondamentale per il futuro del pianeta che potrebbe impattare, storicamente, con i flussi commerciali e di carico del trade e del trasporto marittimo.

Che potrebbe essere ridisegnato.

Perché questo titolo? ma perché la scoperta dell’Africa come mercato di consumo (assieme ad altri mercati “dimenticati” più o meno volutamente) richiederà un profondo mutamento nei paradigmi che hanno retto e stanno reggendo l’economia mondiale e che, ostinatamente, tendono ad essere ancora perseguiti, senza considerare il loro impatto sull’ecologia del mondo e i problemi demografici (dello stesso),  formalmente  affrontati on paper e con grande apparente serietà, ma ancora solamente mirando all’immediato e al massimo ritorno economico del sistema in essere.

Alla base di tutto esiste il drammatico problema demografico che condiziona tutte le altre problematiche, anche perché è concentrato vistosamente ed ineluttabilmente nella parte più povera e trascurata del pianeta.

Ci risulta arduo conciliare i target ambientali e complessivamente sociali che ci vengono imposti, “senza se e senza ma”, come assolutamente indispensabili e da raggiungere nei tempi programmati, con la continuazione del trend di crescita imposto dalla Cina, quale ancora attuale e di gran lunga prima “fabbrica” del mondo, destinata a sostenere il consumismo europeo e USA a questo ritmo.

Una semplice proiezione lineare del PIL mondiale porta a un risultato 2050 che a nostro avviso non consente nemmeno di avvicinare i target ambientali programmati per quella data, considerato che lo stesso crescerà almeno in una forbice fra l’1,7% e il 2,0% medio annuo, ovvero quasi raddoppiandosi nel prossimo trentennio.

Quindi Africa ultima frontiera? E perché?

La verticalizzazione estremizzata della piramide sociale che trascura l’Africa comporta crescenti rischi di altissima instabilità globale, mentre la soluzione per salvare la “capra” (dei consumi non del consumismo) e i “cavoli” (dell’ecosistema) sarebbe, quasi, a portata di mano.

In molti ambienti si parla da tempo di una sorta di “Piano Marshall” per l’Africa onde poter creare un sano mercato locale, cosa buona e giusta, anzi indispensabile, ma purtroppo i tempi tecnici non si conciliano più con l’impellenza di altri problemi e con le scadenze (tassative) che le istituzioni del pianeta si sono date per risolverli, con obiettivi assolutamente da condividere, ma con scelte “operative” spesso isteriche , dettate più per soddisfare l’ideologia da sostenere (e anche interessi meramente di mercato)  che la pragmaticità dello scenario che le istituzioni dovrebbero affrontare.

Chiudendo un po’ l’obiettivo della nostra telecamera virtuale e focalizzandolo a mero esempio sul nostro paese, è evidente che la conditio sine qua non è quella di garantire la fornitura energetica per continuare a far funzionare sia la macchina produttiva sia quella del consumo. Scelte esasperate sulle fonti (non nel merito, ma nella tempistica) rischiano di provocare danni ingestibili e tali da abbattere la nostra competitività sul mercato nazionale, ma soprattutto internazionale, nonché il livello di vita degli italiani.

Fonti attendibili riportano che le tempistiche per avere una singola centrale di produzione di energia eolica situata in mare siano di “almeno” 7/10 anni per singolo impianto che è la soluzione meno impattante in termini di incidenza percentuale sulla domanda complessiva e non solo una “cartolina” pubblicitaria.

Ovviamente, va anche ricordato che questa energia deve disporre di impianti di stoccaggio, data la variabilità del vento, ma anche tenere in considerazione che una notevole parte della componentistica , e in particolare le costose e altamente tecnologiche pale ,  sono monopolio o quasi, pensate un po’, della produzione cinese, dove le prenotazioni di ordini si collocano ben in là nel tempo.

I pannelli solari sono già diffusi e largamente promozionati, ma anch’essi incontrano limiti sia ambientali sia di distribuzione, anche se pare oramai certo che ne debba essere incrementato l’utilizzo.

L’eventuale nucleare di ultima generazione richiede, per entrare in produzione, almeno 10/15 anni tenuto anche conto del fatto che il sistema è da ricostruire ex novo  , almeno in Italia ,  e delle sicure ostilità che si dovranno risolvere con gli abitanti dei luoghi prescelti ,  che vorrebbero che il “terribile” impianto fosse certamente costruito, “ma solamente nel giardino del vicino”.

Tralasciamo la fusione nucleare, che sarà sperabilmente obiettivo (di effettivo sostentamento energetico prevalente) della seconda metà del secolo.

L’ idroelettrico, già eccellenza dell’Italia, può essere ottimizzato, ma può coprire la domanda solo in parte ,  e tenendo conto della progressiva riduzione della materia prima, l’acqua, a causa della siccità per il riscaldamento globale  che riduce piogge e ghiacciai  sul nostro territorio.

La geotermia è anche un settore affascinante e da perseguire, considerato che è una fonte decisamente primaria ecologica e inesauribile, ma forse ancora troppo sperimentale per considerarla fra le fonti determinanti. L’idrogeno, grande obiettivo a volte prematuramente inserito fra le soluzioni immediate anche di tutte le modalità del trasporto (terra, mare, aria), rappresenta una soluzione che richiede anch’essa, oltre alla ricerca sistemica, un ragionevole progetto di valutazione, sia nel campo della produzione, il cui impatto deve ancora essere correttamente valutato, sia nella tempistica, nonché nel contesto di un consumo di massa.

Educazione sui consumi e ottimizzazione delle reti e dei metodi di distribuzione aiutano, ma non determinano.

Analoga considerazione per gli stili di vita che possono contribuire, ma non risolvere.

Sui trasporti terrestri meriterebbe fare un discorso dedicato, che forse faremo nelle prossime newsletter, ma semplificando al massimo, dobbiamo prendere atto che il trasporto su camion, pur nell’ottica di continuare correttamente a massimizzare la ferrovia, continuerà con alta intensità.

Per quanto riguarda il trasporto privato non ci pare che l’auto full electric sia la soluzione (considerato il dare/avere della rivoluzione imposta). Molto più abbordabili paiono invece i sistemi hybrid, assolutamente più flessibili, di uso pratico e con effetti complessivamente migliori sull’ ecosistema. (vedi anche https://www.metanospilamberto.it/lallarme-da-toyota-sulle-auto-elettriche-inquinano-di-piu-e-rimarremo-senza-elettricita/)

Sul trasporto aereo (passeggeri e merci) poi sarebbe utile un approfondimento mirato, ma se guardiamo alle proiezioni di crescita del traffico passeggeri, i dati sono lampanti. Dai meno di 5 miliardi di pax 2019 (mondo) si prevedono per il 2050 ben 10 miliardi di pax! Lasciamo al lettore le considerazioni.

E quindi ci dovremo rassegnare a continuare, anche se con quote sempre meno importanti, a utilizzare le fonti tradizionali (petrolio gas e carbone), che  attualmente costituiscono quasi l’80% delle fonti energetiche del mondo, nella maniera meno impattante possibile , magari cercando di evitare i danni di cui madre natura ci chiederà conto, come per  esempio  l’estrazione di gas con il metodo del fracking, di  violenza inaudita anche per un profano e applicato solo per questioni geopolitiche, quando al mondo ce ne sarebbe quanto se ne vuole con i metodi tradizionali .

Il combinato effetto di tutto quanto sopra esposto, se ben indirizzato, ci porterà certamente sulla strada giusta, ma nel frattempo dobbiamo continuare a crescere in maniera ragionata e non speculativa nei paesi “ricchi”, riducendo il gap con quelli poveri , per creare un nuovo mercato che sostenga la macchina economica mondiale.

E qui spunta l’Africa.

Infatti, in questo continente sono in essere tutti i problemi ed i paradossi del mondo, legati indissolubilmente fra di loro, quello demografico, quello economico, quello finanziario, quello sociale e quello climatico/ambientale.

Quale riteniamo possa essere la chiave per affrontare e per costruire una nuova linea di sviluppo di traffico sia marittimo che terrestre, che sostenga nel contempo equilibri tollerabili dello sviluppo dell’economia mondiale, cercheremo di affrontarlo nelle prossime newsletter.

 

Foto di copertina di Ian Ingalula da Pixabay