Aiuti di Stato, allentamento delle regole europee per la transizione economica verso zero emissioni

In risposta all’Inflation Reduction Act (IRA)   degli Stati Uniti, la Commissione europea, il 9 marzo scorso, insieme alla modifica del regolamento generale di esenzione per categoria (RGEC), ha approvato nuove regole più flessibili «proporzionate, mirate e temporanee», che consentono agli Stati membri di concedere aiuti pubblici alle imprese in modo «rapido, chiaro e prevedibile», così come spiegato dalla vicepresidente esecutiva, responsabile della politica della concorrenza, Margrethe Vestager,  soprattutto per scoraggiare le cosiddette aziende “clean tech” dal trasferirsi negli Stati Uniti o altri paesi.

Le nuove regole saranno, quindi, proporzionate, perché i sussidi non dovranno superare certi limiti; mirate, perché saranno limitate a determinati settori (quelli che favoriscono la transizione ecologica dell’industria);  temporanee, perché i sussidi potranno essere stanziati fino al 31 dicembre del 2025.

Quindi, dopo lunghe e reiterate consultazioni con i Ventisette, Bruxelles non solo prolunga fino alla fine del 2025 la possibilità dei  governi di aiutare l’industria a zero emissioni ovvero i programmi per accelerare l’uso di fonti energetiche rinnovabili,  lo stoccaggio energetico e  i programmi per la decarbonizzazione dei processi industriali,  ma introduce anche nuove misure per consentire ai paesi di sostenere gli investimenti nella produzione di attrezzature strategiche, quali batterie, pannelli solari, elettrolizzatori etc.

Grazie alle deroghe che rimarranno in vigore fino al 2025, l’entità degli aiuti degli Stati membri per agevolare gli investimenti a emissioni zero, potrà essere pari a quella offerta da altre giurisdizioni (leggasi Stati Uniti), per evitare che le imprese delocalizzino fuori dal territorio Ue.

Ma  guardiamo più nel  dettaglio. Il nuovo quadro temporaneo di crisi e transizione contribuirà ad accelerare gli investimenti e i finanziamenti per la produzione di tecnologia pulita in Europa,  ovvero:

  • proroga la possibilità per gli Stati membri di sostenere ulteriormente le misure necessarie per la transizione verso un’industria a zero emissioni nette;
  • modifica l’ambito di applicazione di tali misure per rendere ancora più facili da progettare i regimi a sostegno delle energie rinnovabili, dello stoccaggio dell’energia e della decarbonizzazione dei processi di produzione industriale;
  • introduce nuove misure, applicabili fino al 31 dicembre 2025, per accelerare ulteriormente gli investimenti nei settori chiave per la transizione verso un’economia a zero emissioni.

Le modifiche approvate, inoltre, aiuteranno gli Stati membri a realizzare progetti specifici nell’ambito dei piani nazionali di ripresa e resilienza che rientrano nel loro ambito di applicazione.

Ma cosa ha spinto la Commissione ad una tale manovra? È questa la prima risposta concreta dell’Unione europea all’Inflation Reduction Act, il piano statunitense di sovvenzioni e prestiti di circa  370 miliardi di dollari per accelerare la conquista della frontiera verde nella produzione di energia, infrastrutture e prodotti puliti. Con questa manovra, l’obiettivo della Commissione europea è quello di consentire agli Stati membri di contrastare meglio la concorrenza, non sempre leale, di Cina e Stati Uniti.

In sintesi, il tentativo europeo è  quello di trovare un equilibrio tra l’urgenza di contrastare la concorrenza di paesi terzi e la necessità di garantire la libera competizione tra gli Stati membri.

Come sostenuto dal consigliere del cancelliere tedesco Olaf Scholz, Jörg Kukies,  il problema europeo non è tanto l’ammontare di denaro a disposizione, quanto la lunghezza delle procedure: «L’Unione europea deve porre rimedio a incertezze che penalizzano gli investimenti».

Pertanto, la manovra della Commissione vuole essere un primo passo in questa direzione; le nuove regole, tra l’altro, allentano ulteriormente le esenzioni nel notificare ex ante aiuti di Stato nel digitale e nell’ambiente.

Ma fino a che punto lo «choc» sugli aiuti di stato favorirebbe l’Italia e altri paesi? Di sicuro l’allentamento delle regole sugli aiuti di Stato ha creato più di qualche timore tra gli Stati Ue, preoccupati che Paesi come Germania e Francia possano avvantaggiarsene, frammentando il mercato unico. A questo proposito non è irrilevante notare che da sole, Germania e Francia, hanno investito il 77% del totale degli aiuti di Stato approvati nell’ambito del regime di regole speciali precedente.

Quindi, il rischio concreto di distorsione del mercato comune, già compromesso, esiste; soprattutto perché i Paesi indebitati – come l’Italia – temono che la riforma crei premialità per i partner che hanno bilanci in ordine e asimmetrie, premiando i paesi che hanno maggiore spazio fiscale.

Anche perché, come sottolineato dalla commissaria europea alla Concorrenza, Margrethe Vestager, “gli aiuti di Stato facilitati possono rappresentare una spinta a breve termine, ovviamente, ma non si costruisce la competitività con i sussidi. Dev’essere un meccanismo temporaneo”.

Si ha quindi la sensazione che, arrivati al trentesimo anniversario del mercato unico europeo, fondato sulla libera concorrenza, sia sempre più palese una contraddizione: in teoria, in questo mercato comune tutti sono uguali, ma nella pratica alcuni sono più uguali di altri.

 

Foto di copertina di Ben da Pixabay