De hypocrisi – prima parte

A chi scrive questo intervento è stato chiesto di approfondire il tema del “supply” energetico, in particolare per il campo marittimo navale.

Tuttavia, non si può prescindere da una preliminare analisi di quanto sta succedendo e quanto ci viene inculcato formalmente o per via indotta tramite i social ed i media in tema di sostenibilità ambientale e rivoluzione energetica.

Abbiamo pensato al titolo da dare e, come fatto per il lavoro sull’Africa intitolato “Ultima frontiera” titolo che confermiamo anche “a posteriori” e con ancor maggior convinzione, abbiamo concluso con l’utilizzo di un titolo volutamente provocatorio mutuato da reminiscenze greco-latine apprese in gioventù.

Premettiamo che siamo fermamente convinti che dobbiamo amare e proteggere il nostro mondo e l’ambiente che si è creato in milioni di anni ed ha permesso lo sviluppo del nostro genere e delle nostre civiltà (usiamo volutamente il plurale).

Tuttavia “est modus in rebus” sempre come dicono i latini.

Perché ipocrisia?

Il suicidio programmato, anche della parte sana del nostro modo di vivere, sull’altare di un ambientalismo isterico e autodistruttivo non ci appartiene.

Ribadiamo che tecnicamente e non ideologicamente i target che ci vengono imposti sono irraggiungibili nelle tempistiche divulgate e, anzi, imposte.

Teniamo presente che il PIL mondiale è destinato almeno a raddoppiarsi entro il 2050 ed anche se questo non è certamente l’unico parametro incidente sul tema, la richiesta di energia è ineluttabilmente destinata ad aumentare ulteriormente ed in maniera importante. Se riusciremo a portarla su un ambito comunque virtuoso, come lo sviluppo dell’Africa, e quindi ad un addolcimento degli incombenti e crescenti problemi demografici e sociali purtroppo “in fieri” sarà cosa buona e giusta che salverà (forse) noi europei, ma non eviterà l’aumento ulteriore delle emissioni nocive (anche se con un gradiente in diminuzione per la seconda metà di questo secolo).

Ecco le proiezioni diffuse dal completissimo report sull’energia (si trova su internet con accesso libero per chi volesse verificare o approfondire) emesso da “Exxon Mobil 2018 Outlook for Energy”

*(ne esiste anche una versione successiva, 2023)

 

Dal primo grafico traspare netta la tendenza alla crescita annua che, nel contesto della nostra visione di sviluppo maggiore dell’Africa, non dovrebbe portare grosse variazioni sul complessivo, ma un’incidenza (ovvero riduzione) dell’1,9% calcolato per i paesi OECD, che dovrebbe contenersi entro valori inferiori e più vicino possibile all’1%.

Dal secondo grafico appare evidente l’anomalia da correggere immediatamente relativa alla crescita abnorme e potenzialmente devastante della popolazione africana (notare la crescita della popolazione 0-14 anni rispetto agli altri continenti/aree).

Vediamo ora le previsioni dell’“energy demand” (sempre dalla stessa fonte ma dalla versione più recente 2023) raccomandando di osservare in primo luogo la “primary”, che è quella che conta perché genera tutte le altre:

 

A questo punto e senza avere la presunzione di entrare in una disamina più dettagliata ed approfondita sulle scelte dei nostri legislatori suggeriamo, da comuni cittadini dell’Unione Europea, ciò che a noi sembrerebbe più equilibrato e meno ideologico e demagogico perseguire:

  • Innanzitutto utilizzare i fondi disponibili non tanto per orientare in maniera coercitiva in prima battuta le scelte (obbligate) dell’utenza energetica (auto elettriche, pompe di calore, miglioramento energetico delle strutture etc.) ma per avviare immediatamente un piano organico di produzione europea di sistemi di fonti alternative a quelle tradizionali fossili, ovvero batterie pale eoliche etc. oggi tragicamente delegate ad una produzione esterna all’Unione. Pensare che quanto serve a noi per la svolta ecologica venga prodotto altrove (leggi principalmente Cina o comunque paesi estrattivi ad essa legati) con metodi poco ecologici oltre che con un esborso primario e non interno all’ Unione e tra l’altro con paesi il cui disavanzo import export è conclamato e sbilanciato a nostro sfavore, è paradossale. E non si dica che non abbiamo la tecnologia adeguata in Europa, è solo questione di investimenti seri e di programmazione.
  • Permettere ai mezzi attuali sia di trasporto che di produzione energetica di arrivare naturalmente a fine vita (e quindi fine ammortamento dell’investimento fatto…) senza forzate imposizioni di date impossibili da mantenere senza dover subire imponenti shock sociali ed economici.
  • Una capillare azione (questa sì con scadenze prefissate) per favorire lo smart working, le videoconferenze e tutti quei sistemi che riducono la necessità di spostamenti fisici di persone
  • Turismo aereo mordi e fuggi con low cost più rispettoso dell’inquinamento causato da un numero abnorme di voli con passeggeri che vanno a fare lo shopping di fine settimana a Londra solo perché costa solamente 50 Euro. Si può andare con treno p.e. a Firenze che è bella lo stesso e forse di più. Ricordiamo che nello shipping marittimo verrà fra poco introdotta una tassazione (ETS) sulle navi che toccano i porti comunitari destinata a penalizzare quelle alimentate da combustibili fossili.
  • Evolvere ed incentivare la cultura dell’intermodalità, anche privata, specialmente nei grandi agglomerati urbani dotati di sistemi di metropolitana o trasporto leggero semi-urbano su rotaia o di superfice
  • Il tutto senza violentare le persone con rottamazioni imposte (molte di queste ad anziani o molto anziani) che usano auto datate (magari Euro 3 o più vecchie quindi in “odore di peccato mortale” con kilometraggi modestissimi ed a brevissimo raggio mentre le Euro 6 plus extra percorrono magari 100.000 km anno emettendo molto di più) senza parlare delle elettriche sulle quali meriterebbe spendere un capitolo a parte (considerato che hanno già inquinato abbastanza nella fase di costruzione e successivamente nello smaltimento delle batterie dopo circa dieci anni  nonché nel consumo di energia elettrica prodotta quasi sempre  ancora con metodi tradizionali fossili )
  • Concentrarsi seriamente sulla riduzione progressiva dei kilometraggi del traffico pesante stradale riducendo le distanze tra luoghi di produzione e di consumo) con penalizzazioni per le tratte più lunghe.

Vediamo ora di impostare il discorso sul traffico marittimo commerciale, ma prima tracciamo una velocissima panoramica sulle emissioni nocive globali.

 

Emissioni per aree e paesi campione ed emissioni determinate dal trasporto marittimo

 

Risulta quindi che il traffico marittimo incide sul totale di emissioni di CO2 per meno del 2%.

Siccome le emissioni nel complesso provengono da varie fonti, ovvero industrie, trasporti (privati e commerciali), agricoltura, utenze abitative, e dipendono inoltre anche dal tenore di vita della popolazione, abbiamo aggiunto sempre da fonte Wikipedia il dato di emissioni pro-capite che fornisce su questi paesi campione degli spunti interessanti.

Principali soggetti fonte di emissioni. (fonte: Corporate Governance Institute – UK)

“The top 20 global polluters are all in the fossil fuel industry, and they are:

  • Saudi Aramco 59.26 billion tonnes (of carbon dioxide poured into the atmosphere since 1965)
  • Chevron 43.35 billion tonnes
  • Gazprom 43.23 billion tonnes
  • ExxonMobil 41.90 billion tonnes
  • National Iranian Oil Co 35.66 billion tonnes
  • BP 34.02 billion tonnes
  • Royal Dutch Shell 31.95 billion tonnes
  • Coal India 23.12 billion tonnes
  • Pemex 22.65 billion tonnes
  • Petróleos de Venezuela 15.75 billion tonnes
  • PetroChina 15.63 billion tonnes
  • Peabody Energy 15.39 billion tonnes
  • ConocoPhillips 15.23 billion tonnes
  • Abu Dhabi National Oil Co 13.84 billion tonnes
  • Kuwait Petroleum Corp 13.48 billion tonnes
  • Iraq National Oil Co 12.60 billion tonnes
  • Total SA 12.35 billion tonnes
  • Sonatrach 12.30 billion tonnes
  • BHP Billiton 9.80 billion tonnes
  • Petrobras 8.68 billion tonnes”

Fonte https://www.thecorporategovernanceinstitute.com/insights/news-analysis/the-20-most-polluting-companies-in-the-world-esg/

Come si può notare una stragrande maggioranza di emissioni proviene dalla produzione di combustibili fossili ovvero dalle raffinerie di petrolio che trasformano (nei paesi di estrazione) lo stesso in prodotti trasportabili via mare o oleodotti e utilizzabili per industria, trasporto etc. e che vanno dall’ “heavy oil” al “gas oil” ed altri derivati necessari all’industria.

Attendiamo ansiosi di esaminare il documento sottoscritto a Dubai alla fine di COP 28, anche dai paesi produttori, per verificarne la sostanza e gli effetti pratici che potrebbero avviare ad una effettiva riduzione dei combustibili fossili, rispettando anche la sostenibilità sociale ed economica  del pianeta, nella seconda parte di questa analisi, dove riprendendo e commentando le tabelle qui sopra anticipate commenteremo anche il tema del trasporto marittimo e della rottamazione delle flotte esistenti.