La legge di Murphy e la lezione di Baltimore

Ci sono varie versioni di questa mitizzata “legge”. Citiamo quella che dovrebbe essere l’originale e la versione più ironica:

  • “Se qualcosa può andare storto, lo farà” (originale),
  • “Se un congegno meccanico si rompe, lo farà nel peggior momento possibile “(ironica)

Si poteva evitare il disastro di Baltimore?

Quando apparve la prima notizia su WhatsApp, con il filmato dell’impatto e dei momenti che lo avevano preceduto, la prima deduzione scaturita fu: “Classico blackout. Hanno cercato freneticamente di riavviare (vedi fumata nera) ma troppo tardi”.

Senza l’arroganza di entrare nel tecnico (non siamo engineer), vediamo di spiegare come funziona una nave dal punto di vista energia e propulsione.

1 – Energia elettrica

Viene fornita da una serie di generatori gemelli (chiamati in gergo di bordo semplicemente “elettrogeni”). Una nave ne ha sempre più di uno e si ritiene che questa ne dovrebbe avere almeno tre. Gli stessi forniscono energia:

– per l’utenza della nave (illuminazione e servizi)

– ma soprattutto alle pompe, che provvedono ad inviare la nafta carburante al motore principale di propulsione (quello che fa muovere l’elica per intenderci) e che provvedono a tenere in pressione i circuiti di raffreddamento dello stesso, pompando acqua prelevata da prese a mare;

– al motore idraulico del timone della nave

– nonché l’energia necessaria ad alimentare i singoli motori frigoriferi dei container reefer caricati a bordo.

Inoltre, in manovra, provvedono ad alimentare tutti i verricelli e argani necessari per ormeggiare e disormeggiare la nave e il potente verricello salpa-ancore, che serve a muovere e gestire, in caso di bisogno, le due ancore della nave a prua.

Come si può vedere trattasi di funzioni complesse e con carichi massimi molto differenziati a seconda del momento di utilizzo. Per questa ragione un’utenza, che a regime di navigazione di solito è abbastanza costante e richiede uno, massimo due, elettrogeni in funzione contemporanea e collegati fra loro in parallelo per coprire in sicurezza anche i picchi di domanda, ha in manovra picchi anche violenti e randomici, che richiedono cautela nel predisporre la loro copertura in sicurezza con minimo due, ma anche tre elettrogeni in moto. Quando il picco di energia richiesta dal sistema supera il massimo fornito dagli elettrogeni in moto, scatta automaticamente un blocco e avviene il temutissimo blackout (come il salvavita in casa per intenderci).

Ovviamente a questo punto scattano tutta una serie di interventi di emergenza, previsi dai protocolli, da parte del personale di macchina, per ripristinare quanto prima la funzionalità energetica e quindi la manovrabilità e la sicurezza di navigazione della nave.

Cosa non ha funzionato? Quasi sicuramente il picco di domanda ha superato la disponibilità di energia per un tempo sufficiente a far scattare il blackout. La causa? Non entriamo in questo argomento, perché si rischierebbe di dire qualche stupidaggine od ovvietà, come hanno fatto spesso molti, anzi troppi, commentatori, più o meno professionali od occasionali, delle vicende del mare (caso Costa Concordia docet).

2- Assetto di manovra

Come si vede dalle immagini filmate dalle telecamere e dalle piantine del percorso di uscita verso il mare aperto, la nave aveva appena lasciato la banchina operativa (che si vede sullo sfondo) e, dato il tipo di percorso previsto per l’uscita in mare aperto, era ancora in assetto di manovra, ovvero con ponte comando presidiato dal Comandante, coadiuvato da uno/due piloti del porto e dalla guardia di navigazione completa (un ufficiale capoguardia, due marinai uno al timone a mano e uno di vedetta) e almeno la squadra di manovra di prua (quella che gestisce le due ancore, oltre che  l’ormeggio  prodiero) composta da un ufficiale anziano (di solito il primo ufficiale) e marinai, ancora al suo posto di manovra in attesa di avere l’ordine di  “assicurare le ancore e finito a prua” per assicurare appunto le ancore, metterle in assetto di navigazione e rientrare nella zona alloggi.

In centrale propulsione (la gestione di manovra viene controllata in remoto direttamente dalla consolle sul ponte di comando) ci sarà stato almeno uno, se non due ufficiali di macchina (il Chief Engineer e un altro Ufficiale giornaliero) e uno/due altri tecnici in presenza, dato lo stato di “manovra”.

Quindi nella migliore condizione per agire tempestivamente in caso di emergenza.

Ora, pensiamo che tutti abbiano fatto tutto quanto possibile per evitare il disastro (basta sentire le frenetiche comunicazioni dei piloti con la torre di controllo nei tre minuti circa trascorsi dal blackout all’impatto). Inoltre, si nota dal filmato che la nave ha ripristinato l’energia elettrica (almeno un elettrogeno riacceso quindi) avendo i proiettori del posto di manovra di prua e dei corridoi laterali nuovamente accesi. Ma, probabilmente, non ancora la funzionalità del motore principale e del timone, che prevede una procedura di un minimo di tempo e di una serie di azioni. Infine, si vede dalle immagini post impatto, che il Comandante ha disposto il “fondo alle ancore”, ordine che il posto di manovra di prua ha correttamente eseguito prima di mettersi in salvo nei momenti immediatamente precedenti l’impatto. Non si può sapere se sono riusciti in tempo ad azionare il freno delle catene dopo aver lasciato che le ancore facessero presa sul fondo del fiume. Apparentemente no, perché si vede la catena dell’ancora di sinistra che pende quasi dritta e non in forza rivolta decisamente verso poppa.

Del resto, fermare una massa di ben oltre 100.000 tonnellate di peso, che viaggia certamente a velocità di manovra, ma comunque attorno agli 8/10 nodi, per di più in probabile presenza di corrente di poppa, dato che erano in un fiume, non è cosa da poco.

E allora? Purtroppo, la fatalità e la concatenazione negativa dei vari fattori avvengono come dal titolo di questo nostro scritto per la notissima, anche se pseudoscientifica, legge di Murphy. La probabilità degli stessi é bassa, ma non può essere eliminata al 100% con maggiori provvedimenti da parte della nave (equipaggio o regolamenti).

Quindi? Niente da fare? Mah, forse quello che potrebbe essere obbligatorio in presenza di passaggi con strutture sospese, o comunque con aspetti sensibili di potenziali rischi di impatto, dovrebbe essere la presenza di almeno un rimorchiatore di assistenza, che viaggi di conserva con la nave assistita fino a che la stessa non abbia superato il punto o i punti critici della manovra. Questo protocollo dovrebbe essere già in vigore per le navi che trasportano carichi pericolosi (petroliere e gasiere in primis), ma non per questi giganti.

Ovviamente il rimorchiatore costa…. Ed ecco che ci accorgiamo che stiamo (intendo le cd. autorità preposte) più attenti sul piano della salvaguardia ambientale, colpendo un settore (in maniera costosissima) che inquina non più del 1,8 percento del totale dell’inquinamento, che non sulla sicurezza indiretta dei mezzi (avevamo già avuto il primo segnale eclatante con la Ever Given, messasi di traverso nel Canale di Suez, anche se in altre circostanza e per altre cause).

Ora sembra che questo evento sia in assoluto il più oneroso di sempre per i Club assicurativi, parliamo di miliardi di dollari che ovviamente verranno riversati sui premi pagati da tutti gli armatori e quindi sui noli pagati dalla merce e quindi sui clienti finali, cioè noi.

Bastava un rimorchiatore forse….  imposto per regolamento, non opzionale.

Nella sciagura, l’aspetto “fortunato” è stato che l’evento è avvenuto in piena notte, che c’erano due pattuglie della stradale in zona, che hanno fermato il poco traffico, e che hanno anche loro disperatamente cercato di mettere in salvo i poveri tecnici che stavano lavorando sul ponte, ma che ci hanno rimesso la vita. Di giorno sarebbe stata una strage immane.