Teologia e logistica

L’ultimo numero del magazine “Eins, zwei, drei, vier” dell’Associazione tedesca di Logistica (BVL, Bundesvereinigung für Logistik) è dedicato al problema della forza lavoro (Arbeitskraft). Lo hanno curato degli educatori/operatori del gruppo Emder Dirks Group, attivi all’interno della biblioteca specializzata e della scuola di formazione “Johannes a Lasco”, del porto di Emden, nella Frisia Orientale, da dove partono i traghetti per le isole Frisone, la più nota delle quali è Borkum.

Chi era questo signore al quale è intitolata la biblioteca/scuola, un’istituzione pubblica ma extrauniversitaria? Era il rampollo di un’importante famiglia polacca (il suo vero nome era Jan Łaski) teologo, considerato tra i maggiori continuatori della dottrina calvinista, influenzato da Erasmo da Rotterdam e da Zwingli, vissuto agli inizi del Cinquecento tra Gran Bretagna, Prussia e Polonia, dove divenne segretario del re Sigismondo II. La Biblioteca e la scuola di formazione sono specializzate in teologia e in intelligenza artificiale. L’accostamento di queste discipline non deve stupire, infatti non è raro trovare nelle promozioni di business school degli Stati Uniti che i candidati con percorsi di studi teologici e umanistici sono preferiti a quelli con percorsi tipo economia o ingegneria. Insomma, per comandare le persone, i “talenti”, per saper fare lavorare meglio i collaboratori, per avere sensibilità adatta a cogliere le loro aspirazioni, per saper esprimere una leadership non autoritaria ma in grado di cavare il meglio dalle singole personalità, teologi e letterati sembrano essere più adatti di quelli con studi economici, tecnici o giuridici. Ma la teologia è una disciplina che nel mondo protestante – e dunque in tutti i paesi anglosassoni dove la riforma protestante, nelle sue varie diramazioni, in un modo o nell’altro, ha costituito un elemento fondamentale dell’identità nazionale – può essere considerata parte dell’educazione di base delle classi dirigenti. Non dobbiamo dimenticare il ruolo importante svolto dal protestantesimo nello sviluppo del capitalismo, come ben ci insegna Max Weber, la morale del businessman deve essere ispirata all’etica protestante. Questo forse era più vero nell’Ottocento-primi del Novecento, il capitalismo di oggi, di scuola neoliberale, non sembra proprio avere scrupoli morali di sorta. Ma il problema rispunta fuori continuamente, si pensi all’etica della sostenibilità. “Siamo sostenibili perché siamo capitalisti”, scrive Larry Fink, CEO di Blackrock, la prima società al mondo nella gestione di capitali, e prosegue: “in tutto il mondo i dipendenti stanno chiedendo qualcosa di più ai loro datori di lavoro, incluse una maggiore flessibilità e mansioni più significative (…) raramente si parlava di salute mentale sul luogo di lavoro e i salari della manodopera a basso e medio reddito crescevano a malapena. Quel mondo non esiste più. Le maggiori richieste dei lavoratori nei confronti dei loro datori di lavoro è un tratto essenziale di un capitalismo efficace”.

Nel giugno 2022 erano vacanti in Germania 69 mila posti di lavoro nel settore “logistica/trasporti”, più di qualunque altro settore, professioni mediche e paramediche comprese. In più mancavano 53 mila autisti, ma uno studio commissionato proprio dalla BVL e che si può scaricare gratuitamente da www.bvl.de/fahrermangel, parla di 70 mila. I sondaggi indicano chiaramente che le persone hanno voglia di andare in pensione prima (si pensi a quel che succede in Francia con la riforma Macron sull’età pensionabile) e che la prima cosa che chiedono al loro datore di lavoro è flessibilità d’orario, buona conciliazione tra vita e lavoro, mansioni più sensate, con maggior contenuto d’intelligenza.

Leggendo sul magazine della BVL alcuni esempi d’iniziative prese da società di logistica per far fronte alla carenza di personale, non sembra che le soluzioni brillino per originalità. Si va dalla sostituzione di posti di lavoro pesanti con robot di un gigante della componentistica auto, all’istituzione di corsi di formazione permanente e di attività sociali e di svago per fidelizzare il personale esistente, all’utilizzo sistematico dei social network per reclutare nuovo personale (“bisogna comunicare con le persone sui siti che sono abituate ad usare negli scambi quotidiani, bisogna incontrare le persone nei luoghi che esse frequentano, anche negli stadi di calcio”, dice un manager). Molte aziende ripongono una grande fiducia nel lavoro da remoto o nella digitalizzazione. Tutte cose che orientano l’azione sul piano di aumentare l’attrattività del settore, come se il problema fosse quello “di essere più seduttivi”. Più concreta delle iniziative citate dalla rivista ci è parsa quindi quella di quattro aziende di trasporto di una stessa regione che si sono consorziate per scambiarsi personale e soprattutto informazioni sulla ricerca di personale, rinunciando a farsi concorrenza reciproca. Sul piano della formazione s’investe molto, purtroppo la formazione non riesce a eliminare le maggiori criticità, al primo posto delle quali, secondo gli studi più recenti che vengono citati, è l’assillo per il rispetto delle scadenze e la quantità di posti di lavoro che richiedono sforzi fisici.

Nella lodevole iniziativa editoriale della BVL si riscontra però una difficoltà ad ammettere che la principale causa dell’allontanamento della forza lavoro dal settore logistica/trasporti – e dell’insoddisfazione di chi ci lavora – è l’esasperazione dei ritmi della supply chain. Per non parlare, nell’autotrasporto, della concorrenza distruttiva operata da aziende senza scrupoli, come dimostrato proprio in queste settimane da episodi clamorosi di rivolta, ampiamente ripresi dalla stampa, contro datori di lavoro polacchi o lituani, che hanno coinvolto autisti di molti paesi, sfruttati all’inverosimile. Secondo il Presidente dell’Associazione di Spedizionieri e Logistici DSLV l’intervento della mano pubblica può servire ma non molto, è il settore che, consapevole di alcune criticità inevitabili, inerenti al mestiere dell’autista, deve rivedere la propria politica sia sul piano delle retribuzioni sia sul piano della stabilità d’impiego. Facile a dirsi, difficile a farsi quando si è un servizio che dipende dalla committenza. E poiché viviamo in una società capitalistica convincere chi è più forte sul mercato ad aver comprensione dei problemi di quello più debole è molto difficile.

Malgrado ciò, riteniamo molto positivo il fatto che l’attenzione del mondo dell’impresa torni a concentrarsi sulla forza lavoro, per prendere in considerazione le esigenze soggettive dei milioni di uomini e donne che con il loro lavoro creano profitto. (s.b.)

 

Nella foto di copertina, Max Weber